lunedì 9 aprile 2018

Dancing with myself: l'egocentrismo degli artisti per raccontare la nostra società

Urs Fisher
«Dovunque mi arrampichi io sono seguito da un cane chiamato Ego», diceva Nietzsche. Come lui molti scrittori, intellettuali, creativi. Spesso però questo ego, questo voler essere al centro dell' attenzione, è per gli artisti solo un mezzo per descrivere altro. Che sia una denuncia o semplicemente una provocazione o una riflessione sull'arte o la società, di fondo c'è la sperimentazione sulla propria persona e sulla propria sensibilità per veicolare un messaggio. Quale ruolo mi assegna la collettività e come posso liberarmi dai suoi obblighi? Come posso sfuggire alla fatalità della morte diventando parte della mia opera? Sono alcune delle domande, esistenziali e ironiche, politiche e poetiche, biografiche e sociali alle quali cerca di dare risposte la mostra Dancing with myself che ha appena inaugura to a Punta della Dogana a Venezia.

Nelle incredibili architetture di quello che un tempo era uno dei magazzini del porto monumentale di Venezia, con le sue carpiate in legno, i muri di mattoni a vista e gli scorci meravigliosi della laguna, trovano spazio 116 opere della collezione Pinault e una trentina del museo Folkwang di Essen in Germania che indagano l'importanza primordiale della rappresentazione di sé nella produzione artistica dagli anni Trenta ad oggi e del ruolo dell' artista come protagonista e come oggetto stesso dell' opera d' arte. Attraverso un' ampia varietà di pratiche e linguaggi (fotografie, video, pittura, scultura, installazioni), di culture e provenienza, di generazione ed esperienze, la mostra mette in luce il contrasto tra le attitudini differenti dei 32 artisti selezionati: la melanconia e la vanità, il gioco ironico dell' identità e l' autobiografia politica, la riflessione esistenziale e il corpo come scultura, effige o frammento e la sua rappresentazione simbolica.

Alighiero&Boetti
Ad accogliere il visitatore una scultura a grandezza naturale in cera che letteralmente brucia grazie a diversi stoppini accesi. É un'opera di Urs Fisher, o meglio un suo autoritratto, che rappresenta la scomparsa dell' artista: una sorta di vanitas nella sua forma più semplice. Assente la glorificazione dell'io, l'arte di Fisher è un' esperienza del tempo e della memoria. Segue il bronzo del 1993 di Alighiero & Boetti (affascinato dal tema del doppio Alighiero Boetti cambiò negli anni Settanta il suo nome aggiungendo la &) che rappresenta se stesso mentre si bagna con dell' acqua che si trasforma in vapor acqueo: una metafora ironica del processo creativo, oltre che l' autoritratto di un uomo che affronta una malattia ed è vicino alla morte (nel 1993 gli era già stato diagnosticato il tumore al cervello che lo porterà via l' anno successivo).
 
Cindy Sherman

Ampio spazio è dato a Cindy Sherman. Una sorta di retrospettiva con foto che vanno degli anni '70 agli anni Duemila in cui ritrae se stessa in un gran numero dei più svariati ruoli femminili. E così diventa di volta in volta studentessa frivola, diva del cinema, casalinga o pagliaccio: esagerando le immagini stereotipate delle donne e la loro apparente intercambiabilità, la Sherman suggerisce come qualsiasi identità sia un artificio.
Poi c'è il nucleo di opere di Gilbert&George, la coppia di artisti che hanno elevato a arte ogni attimo della loro esistenza pensando le loro creazioni come grandi poemi visuali che decifrano, non senza umorismo, la condizione umana. A loro è dedicata anche la scultura di Maurizio Cattelan We che ricostruisce tridimensionalmente una foto di Gilbert&George che li vede sdraiati nel letto del poeta spagnolo Lorca. Sostituendo il proprio viso di cera a quello dei due artisti Cattelan opera uno sdoppiamento della propria effige. In un certo senso Gilbert&George sono diventati Maurizio&Cattelan così come Alighiero&Boetti.

Maurizio&Cattelan "We"
 
La mostra riesce anche a mettere insieme presente e passato. Damien Hirst, ad esempio, è presente con un autoritratto proveniente dal suo recente "tesoro del mondo sommerso" (esposto l'anno scorso a Punta della Dogana) e un "selfie" di lui 16enne, sorridente accanto a una testa decapitata: era il 1991 e lui lavorava in obitorio. E poi ci sono - tra gli altri - Giulio Paolini, Nan Goldin, Rudolf Stingel, il surrealista Claude Cahun che alla fine degli anni Venti giocava con i ruoli e le maschere anticipando gli artisti post moderni, Steve McQuenn e Charles Ray: ognuno ci induce a riflettere sul fatto che solo partendo da noi e dalla considerazione che abbiamo di noi stessi che possiamo arrivare a giudicare il mondo esterno. La mostra si potrà visitare fino al 16 dicembre.

Claude Cahun "Autoritratto" 1929
 
Gilbert&George

Damien Hirst "Selfie" 1991

Nessun commento:

Posta un commento