sabato 11 marzo 2017

Follia e creatività. Nella storia dell'arte così come nella vita

Il cassetto di Alda Merini
«Entrate, ma non cercate un percorso. L’unica via è lo smarrimento», è la scritta che accoglie i visitatori del Museo della Follia inaugurato ieri a Salò. La attribuiscono al curatore Vittorio Sgarbi, ma lui stesso smentisce. «L’ho fatta mia, ma l’ha inventata la mia collaboratrice Sara Pallavicini», ha ammesso mentre presenta il Museo. Che non è un museo, ma una mostra itinerante che affronta il complesso tema della follia e che volutamente nasconde più di quanto esponga. «È tutto un inganno», ha fatto notare Sgarbi. Già l’inganno. Lo stesso che ha tenuto rinchiuse dentro i manicomi persone non classificabili, non omologabili, che rifiutavano di sottostare alle regole imposte dalla società. A loro è dedicata l’esposizione.  Ecco allora le streghe esemplificate da un dipinto di Tranquillo da Cremona (1837–1878), donne perseguitate solo perché non volevano sposarsi o fare figli; gli omosessuali rappresentati da due opere e alcuni disegni che Francis Bacon regalò all’uomo dei suoi desideri; i perseguitati politici che, ha spiegato Giordano Bruno Guerri, direttore del MuSa, «venivano ricoverati all’interno dei manicomi perché era la maniera più semplice per renderli inoffensivi, per neutralizzarli, evitando processi che avrebbero messo in luce la loro innocenza»; i poeti sognatori e visionari come Alda Merini presente in apertura di mostra con il suo cassetto pieno di sigarette, una collana di perle, biancheria intima, un rossetto, un taccuino, una penna.
L'olio di Adolf Hitler

La mostra presenta oltre 200 tra dipinti, sculture, oggetti e installazioni che provocano nel visitatore un senso di smarrimento. È questo, secondo Sgarbi, l’unica vera guida per tale esposizione di opere, in parte inedite, firmate da grandi maestri della storia dell’arte come Francisco Goya, Adolfo Wildt, Jean-Michel Basquiat, il Piccio, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Fausto Pirandello, Antonio Ligabue. «Anche prima dei casi clamorosi di Van Gogh e di Ligabue», ha spiegato Sgarbi, «molti sono gli artisti la cui mente è attraversata dal turbamento, che si esprimono in una lingua visionaria e allucinata. Ognuno di loro ha una storia, una dimensione che non si misura con la realtà, ma con il sogno».
Frutto di una follia distruttrice e non creatrice è, invece, il piccolo olio prestato da un collezionista privato di Berlino e mai esposto finora, opera di Adolf Hitler. A livello artistico, secondo Sgarbi, «è una cagata, è un quadro di un disperato». «Più che da un dittatore potrebbe essere stato dipinto da uno sfigato», ha infierito il critico. «E comunque dice molto della sua psiche: qui non si vede la grandezza, qui si vede la miseria». Giordano Bruno Guerri, che ha curato la sezione Pazzi politici (dove c’è anche la scultura dedicata a Mussolini di Renato Bertelli, del 1933), ha ricordato quando il führer disse all’ambasciatore britannico Neville Henderson: «Io sono un artista e non un politico, una volta che la questione polacca sarà risolta voglio finire la mia vita come un artista». «Sarebbe stato meglio, anche se pure come artista non era un granché», ha aggiunto il direttore del MuSa  che in una video installazione ha messo in scena la sua analisi sulla relazione tra manicomi e politica nel periodo fascista. «L’internamento civile in queste strutture riguardava spesso soggetti considerati pericolosi per il regime. E molti sono morti», ha puntualizzato Guerri.
Di grande impatto Gli assenti di Fabrizio Sclocchini: una serie di fotografie che danno forma all’assenza di quei luoghi oggi abbandonati e sospesi in un tempo che non c’è più; e la stanza de Gli Stereoscopi dove, attraverso supporti magici il visitatore viene trasportato in un’altra dimensione, precisamente quella dell’ex ospedale psichiatrico di Mombello, luogo dove ha trascorso diversi anni della sua vita l’artista Gino Sandri, le cui opere si alternano in un corridoio di emozioni. La presenza ipnotica di Carlo Zinelli, rompe la scena con dei coloratissimi dipinti e, attraverso uno spirito giocoso e al contempo tragico, superando ogni regola di composizione, ci conduce nel suo mondo popolato da pinocchi, pretini, uccelli, ballerine, veicoli e sagome di ogni genere, immaginati o incontrati a metà strada tra sogno e turbamento.
Cesare Inzerillo (altro curatore del Museo della Follia insieme a Sara Pallavicini, Giovanni Lettini, e Stefano Morelli) ha firmato le sculture di pazienti, dottori e infermieri distinguibili solo dai dettagli dell’abbigliamento, oltre che un’imponente installazione in cui vengono mostrati i ritratti recuperati dalle cartelle cliniche di alcuni pazienti di ex manicomi. Sempre suoi sono i Ricordi ovvero immagini, documenti, oggetti recuperati dai manicomi abbandonati in un allestimento diffuso, che si trovano messi in relazione ai capolavori esposti per raccontare le condizioni umilianti di questi luoghi di contenzione. «Un repertorio, senza proclami, senza manifesti, senza denunce», ha voluto puntualizzare Sgarbi. «Uomini e donne come noi, sfortunati, umiliati, isolati. E ancora vivi nella incredula disperazione dei loro sguardi. Condannati senza colpa, incriminati senza reati per il solo destino di essere diversi, cioè individui».
La mostra prosegue (o inizia) fuori dal Museo di Salò. Nel container L’Intonapensieri allestito sul lungolago sono ospitate nove installazioni interattive: testimonianze poetiche di personalità come Antonio Ligabue, Franco Basaglia, Alda Merini, Friedrich Nietzsche, Pino Roveredo, ma anche voci di chi i manicomi li ha vissuti in prima persona.
Il Museo della Follia si potrà visitare fino al 19 novembre.

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