giovedì 9 febbraio 2017

Pittura, fotografia, scultura, performance: le connessioni invisibili di Mambor

«Se volete capire davvero l'uomo e l'artista Renato Mambor dovete partire dalle ultime opere», consiglia Patrizia Speciale a chi si accinge a visitare la mostra dedicata al suo compagno scomparso all'età di 78 anni nel 2014 appena inaugurata al Palazzo delle Stelline. E proprio una delle ultime opere di Mambor, peraltro inedita, apre la rassegna: un'installazione-autoritratto di cinque ieratiche sagome bianche che portano al posto del cuore, su piccole mensole, cuori in materiali diversi (cuoio, ceramica) e un metronomo: opera al tempo stesso metafisica e gioiosa, che ribadisce l'ardente desiderio dell'artista di non lasciare mai spazio alla disillusione e al cinismo, costituendo sempre con i propri lavori  «una fonte di ricerca della conoscenza». Il titolo è “Re di cuore”, quel cuore che lo aveva “tradito” nel 1987 costringendolo ad un importante intervento chirurgico e che con il suo ritmo «porta l'universo dentro di noi» segna l'inizio, ma anche la conclusione della retrospettiva "Connessioni invisibili" che racconta 55 anni di impegno artistico durante i quali Mambor  ha rinnovato instancabilmente le forme e approfondito la conoscenza di sé inventando dispositivi di comunicazione che coinvolgessero lo spettatore lasciando opere di grande valore e significato.

 «Voglio fare di tutto, ballare cantare, scrivere, recitare fare il cinema, il teatro, la poesia, voglio esprimermi con tutti i mezzi, ma sempre in quanto pittore, perché dipingere non è un modo di fare, ma un modo di essere. E nel tempo mi sono cimentato in tutti gli ambiti in quanto pittore, sperimentando una qualità dell’esistenza», disse Mambor in una intervista  del 2014.
Dalla pittura alla fotografia, dalle installazioni alle performance, dal cinema obiettivo di Mambor - tra i massimi rappresentanti della ricerca nelle arti visive dagli ultimi anni '50, uno dei primi a sconfinare dalla pittura verso altri linguaggi, salvo poi tornare comunque sempre alla pittura - è sempre stato quello di analizzare l’oggetto per scardinare rapporti scontati, accendere lo sguardo per andare oltre le apparenze in una continua sperimentazione sui rapporti tra organismo e ambiente, tra arte e vita, sul cambiamento dello sguardo e dei punti di vista, sulle relazioni interne ed esterne, su separazione e unità.
«Siamo troppo pieni di noi — diceva il maestro —. Irremovibili, piantati dentro i nostri punti di vista». Caratteristiche in questo senso le silhouette umane dipinte a colori brillanti: un invito a spersonalizzarsi per vedere la realtà da nuove angolazioni, penetrandola e lasciandosi penetrare. Leggendo i suoi scritti esposti in mostra si comprende l'importanza che Mambor attribuiva al rapporto tra l'opera d'arte e lo spettatore, ma anche e soprattutto il rapporto tra l’opera e l’artista. Per Mambor «l'arte è un veicolo», una via d'accesso a un livello elevato di comprensione e di espressione di se stessi e del mondo, senza che la rappresentazione sia un oggetto assoluto. L'arte è per lui un modo per accedere, a livello delle connessioni sottili, alle energie più impalpabili del mondo.  E le ottanta opere in mostra, selezionate da Dominique Stella, testimoniano proprio il dinamismo creativo di un'artista in continua evoluzione, che non ha mai smesso di approfondire la propria incessante ricerca espressiva allargandola a tutto tondo, senza paura di limiti e steccati ideologici.

Il percorso espositivo ripercorre ''gli aspetti più eterogenei della produzione del maestro, cresciuto con la Scuola di Piazza del Popolo, compagno di strada di Schifano, Angeli, Festa, Fioroni e molti altri l'artista'', dalle prime opere degli anni '60 (gli Uomini Statistici, i Timbri, i Ricalchi) ai lavori concettuali che seguirono (i Rulli, il Filtro, l'Evidenziatore) passando per il periodo teatrale della Trousse, luogo di ricerca e di sperimentazione all'inizio degli anni '70 fino al 1989, la cui storia è ripercorsa a partire da fotografie e da oggetti. Non mancano l'Osservatore, il Viaggiatore, il Pensatore, realizzati negli anni '90 fino a giungere ai lavori più recenti come i Separè, che approfondiscono la tematica, diventata cruciale per l'artista, della dualità. La mostra prende le mosse dal lavoro sviluppato da Renato Mambor a partire dall'inizio degli anni '60, quando riflette sulla relazione con il reale, «mette in evidenza i legami, immagina le relazioni invisibili che presiedono alla percezione e per questo egli mette innanzitutto in scena l'oggetto», quello ordinario, seriale, introducendo nella propria opera L'uomo statistico, «valutazione quantitativa di una rappresentazione umana ridotta a un segno». A illustrarlo, opere come Oggetto verde (1960), Le molle replicate (1960), Segnali ('61), Spettatori e timbri ('62), Ultimo Giorno ('63), Flipper ('65). E se la rassegna rende conto dell'ampia parentesi dell'impegno teatrale con Trousse, si arriva agli ultimi decenni quando, con la serie dell'Osservatore, Mambor decide di «modificare lo sguardo e creare lo spazio tra l'uomo e l'ambiente».
La mostra "Connessioni invisibili" si potrà visitare gratuitamente fino al 25 marzo al Palazzo delle Stelline in corso Magenta, 59 (Milano).

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