mercoledì 20 luglio 2016

Nessuna deroga sull'anonimato delle donne denuncianti

Le chiacchiere stanno a zero, servono i fatti. Le donne subiscono maltrattamenti ogni giorno tra le quattro mura domestiche, eppure se ne parla - a volte anche in maniera morbosa - solo quando i riflettori della cronaca nera illuminano i casi dove non c’è più niente da fare. Viene invocata tolleranza zero nei confronti degli stalker, ci sono appelli mediatici dalle più alte cariche istituzionali affinché le donne denuncino, si facciano aiutare ad allontanare il maltrattante, ma poi quando c’è da fare qualcosa di concreto l’emergenza sembra lontana, un intervento appare rimandabile. Le beghe burocratiche prendono il sopravvento e l’urgenza di aiutare le vittime viene derubricata a una delle tante voci nei bilanci degli enti locali. Tra tagli di risorse e finanziamenti mai arrivati la crisi viene scaricata ancora sulla pelle delle donne, di quelle che hanno trovato il coraggio di condividere con persone competenti il loro dramma, che sono state supportate nella difficile decisione di allontanarsi da casa e dal pericolo di un marito o ex compagno violento, che hanno scelto di vivere.

Ne sanno qualcosa i tanti centri antiviolenza che hanno già chiuso e quelli che rischiano di chiudere. Come la “Casa delle Donne Maltrattate” di via Piacenza a Milano dove giovani e meno giovani trovano chi le ascolta, le consiglia e le protegge, offrendo anche un domicilio sicuro dove poter ritrovare la propria autonomia, recuperare le risorse e le abilità che sono state congelate. Il Cadmi, che dal 1986 si occupa di aiutare e sostenere quante subiscono maltrattamenti e violenza fisica, psicologica, economica, sessuale e stalking seguendo 25 mila donne, solo nel 2015 ha ascoltato 1907 vittime, ne ha accolte 572 seguendone 352 con percorsi di uscita dalla violenza. Numeri importanti che giustificano i 150mila euro che vengono spesi ogni anno per gli affitti delle case protette, le consulenze legali e psicologiche, gli sportelli d’ascolto aperti. Di questi una parte (50mila) arriva nelle casse del centro grazie alla generosità delle socie e dei cittadini, gli altri vengono dalle istituzioni. E qui sta il problema denunciato in una conferenza stampa dall’avvocato Manuela Ulivi, presidente della Casa delle Donne Maltrattate: i soldi ci sono, ma non vengono erogati. «La legge 119 del 2013 prevedeva uno stanziamento di 10 milioni l’anno. Per il 2013/14 il governo ha distribuito effettivamente solo 16 milioni e mezzo. Alla Regione Lombardia», ha spiegato Manuela Ulivi, «sono arrivati 2 milioni e 772 mila: 2 milioni e 722mila sono stati messi a bilancio (50mila sono “scomparsi”), ma sono lì fermi da ben 3 anni. Per il 2015/16 il governo ha poi indetto un bando per distribuire 12 milioni di cui però ancora non si hanno notizie, né si sa dove sono finiti gli altri 8, visto che dovevano essere stanziati 10 milioni all’anno». E mentre il ministro Maria Elena Boschi con la delega alle Pari Opportunità ancora non ha ritenuto di dover rispondere alle richieste di spiegazioni, l’assessore alla Coesione Sociale di Regione Lombardia Francesca Brianza giustifica la mancata erogazione con il Patto di Stabilità. Patto di stabilità che però ha veramente poco a che fare con le pretese dell'ente erogante di esercitare un controllo sulle donne che beneficiano dell'assistenza.  In pratica i centri per avere i fondi dovrebbero derogare al sacrosanto principio di riservatezza che garantiscono alle donne maltrattate rivelando i dati anagrafici e persino il codice fiscale. Assurdo per il Cadmi. «Non andremo mai contro il desiderio o la volontà anche di una sola donna», tuona l’avvocato Ulivi convinta che si stia facendo del tutto per mettere in discussione il lavoro svolto dai centri antiviolenza screditando una metodologia sviluppata in decenni di esperienza che ha consentito a moltissime donne di liberarsi dalla violenza e cominciare una nuova vita. La presidente onoraria Marisa Guarnieri parla di «stalking da parte delle istituzioni, che come tutti gli stalker ci dichiarano amore e sostegno ma di fatto cercano di controllarci, e questo controllo è dannoso per le donne»; l’avvocato Ulivi si augura che le istituzioni non vogliano  comportarsi come i maltrattanti. Ce lo aguriamo anche noi.

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