sabato 23 luglio 2016

Ho incontrato Klein: sfacciato, provocatore, tagliente

Milano, Palazzo della Ragione. Davanti a me c' è il maestro William Klein. Non ci penso un attimo: tiro fuori il cellulare e lo fotografo. Lui di tutta risposta prende la macchinetta che porta appesa al collo e a sua volta mi scatta una foto. Interessato al gesto, attore e spettatore, il rivoluzionario Klein a ottantotto anni suonati non smette di sorprendersi e provocare. Curioso delle persone, audace, pronto a essere frainteso fa quello che ha fatto per una vita: scatta foto a me, ai giornalisti, ai fotoreporter e alla maggior parte degli invitati alla preview della mostra Il mondo a modo suo che celebra il suo ritorno nella città che sessant' anni fa accolse la sua prima esposizione. Il ribelle, anticonformista, antiperbenista che volle, fortissimamente volle infrangere le regole assiomatiche della fotografia, (come lo definisce il direttore di Palazzo della Ragione Domenico Piraina), arrivò a Milano nel 1952 invitato da Giorgio Streheler per una mostra al Piccolo Teatro.
A quel tempo Klein non era un fotografo: espose una serie di opere astratte realizzate su suggerimento del suo mentore Fernand Léger per alcuni architetti italiani. Per Angelo Mangiarotti creò dei murales in bianco e nero. Li dipinse su pannelli girevoli. «Ho fotografato i dipinti geometrici astratti che avevo fatto su quei pannelli e c' era una persona che li faceva girare durante un tempo di esposizione molto lungo, in modo che le linee si confondessero», racconta Klein. «E ho capito che avrei potuto riprodurre l' effetto sfocato nella camera oscura. Quello fu il mio primo vero approccio alla fotografia».
La mostra a Palazzo della Ragione inizia da qui, da quei lavori astratti caratterizzati da bruschi e netti contrasti geometrici (hard-edge) che raccontano di un artista sperimentale e concettuale che inizia a usare la fotografia per documentare l' allestimento delle sue mostre. Cogliendo l' effetto sfocato dei pannelli rotanti, la pittura si trasforma in scultura cinetica, i bordi e i contrasti netti diventano fluidi. Nascono fotogrammi impressionanti che Giò Ponti usa come copertine per la sua rivista di architettura e design Domus. La svolta, però, arriva due anni dopo con l' ingaggio da parte di Vogue che lo vuole per la strada a fotografare la scena urbana. Così Klein a Parigi va all' Agenzia Magnum e compra dallo stesso fondatore Henri Cartier-Bresson una sua Leica per un reportage da New York dove torna dopo anni di assenza. Una Leica che ammette di non saper usare, alla quale monta un grandangolo per annullare le distanze tra lui e le persone che vuole fotografare. Ecco le immagini della sezione New York: un diario fotografico del suo ritorno a casa, «con un occhio americano e uno europeo», dal quale viene fuori una Big Apple brutta, violenta, disordinata, squallida.
Klein non si fa remore a raccontarla così perché è così che la vede, a modo suo. Klein non ha paura di interagire con i suoi soggetti, è sfacciato, subdolo, provocatore, tagliente. È lui stesso un cattivo ragazzo di strada, al pari di quelli che immortala mentre mostrano spavaldi una pistola.
Niente buone maniere. Distorsioni da grandangolo. Effetto sfocato. Messe a fuoco non convenzionali. Sovra e sottoesposizioni. «Quello che i professionisti avrebbero gettato nel cestino, per me era un eccitante materiale da rilavorare», puntualizza Klein. Il reportage nel 1957 diventa il libro Life is Good & Good for You in New York. Il primo di una serie di volumi dedicati a città come Mosca, Tokyo, Parigi e Roma dove va in ricognizione in compagnia di Fellini, Pasolini e Moravia. La mostra prosegue con la sezione Moda. Klein inventa un modo tutto suo per aggirare il mondo imbalsamato dell' haute couture. «Quando mi mostrarono gli abiti mi fu immediatamente chiaro che le modelle avrebbero attraversato Piazza di Spagna sulle strisce pedonali», racconta. «Sfilando avanti e indietro, si sarebbero incrociate e avrebbero reagito l' una all' altra. Per appiattire la prospettiva, progettai di salire sulla scalinata della piazza e usare un teleobiettivo. Le ragazze passeggiarono avanti e indietro fino a quando iniziarono a catturare l' attenzione dei passanti. Ero in cima alla scalinata con la mia macchina fotografica, all' insaputa della gente. Gli uomini iniziarono a pensare che fossero prostitute impazzite e si avvicinarono, cercando di palparle. La direttrice di Vogue iniziò a innervosirsi temendo se non uno stupro di gruppo, un blocco del traffico. (...) Forse una delle più belle fotografie di moda mai realizzate». Cosa altro fare? Cinema, fu la risposta di Klein. Nel 1958 realizza Broadway by Light, il primo film pop. Seguiranno le saghe dei "superneri" (Muhammad Alì The Greatest, 1964-1974, Eldridge Cleaver, Black Panther, 1970, e The Little Richard Story, 1980), i documentari politici (Loin du Vietnam, 1967) e le pellicole sperimentali (Qui êtes-vous Polly Maggoo?
, 1966, Le couple témoin, 1976, e In and Out of Fashion, 1994), fino al visionario Le Messie del 1999, ispirato al Messiah di Händel. Negli anni '90 Klein riprende in mano i suoi provini soffermandosi sulle annotazioni rosse e nere che segnano i fotogrammi. Comincia a ingrandirli, a stamparli nel formato dei primi dipinti. Su queste stampe/murales la matita demografica viene sostituita da pennellate.
«Consapevolmente o no», scrive David Campany nel volume della mostra edito da Contrasto, «questo lavoro fa rivivere quell' istante del 1952 in cui tutto è cominciato, quando un colpo di pennello e una macchina fotografica si incontrarono per caso in quell' appartamento milanese».

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