martedì 15 marzo 2016

Se l'educazione a scuola ha bisogno di badge e chiavistelli

La parola «educare» proviene dal latino «ex ducere» e significa «condurre fuori», ovvero aiutare qualcuno a dare il meglio di sé, a esprimere compiutamente se stesso. Per farlo, ovviamente, bisogna essere capaci: bisogna essere bravi educatori. La scuola pubblica italiana, purtroppo in caduta libera, sta dimostrando ancora una volta che di non essere in grado di educare i nostri ragazzi. Due notizie apparse in questi giorni sulla stampa lo confermano. A Milano, lo storico liceo il Parini ha detto “addio” all’appello all’inizio delle lezioni in favore del badge che gli studenti devono “strisciare” all’ingresso. Una macchina, insomma, controllerà presenze, ritardi e movimenti degli studenti che senza, d’ora in poi, non potranno più entrare a scuola.
Il tutto per evitare la perdita di tempo impiegato dai prof per fare l’appello e per scoraggiare i ritardi: l’elenco dei presenti si aggiorna via via sul registro elettronico di ogni classe delegando di fatto a un marchingegno elettronico il primo approccio quotidiano tra lo studente e il prof. Neanche fossero in fabbrica. Fin da adolescenti la scuola impone i ritmi di vita del lavoratore schiavo di un padrone e delle sue leggi.
Ancora più sconcertante la notizia che arriva da Vigevano. All’istituto Casale per ragionieri e geometri i bagni sono stati chiusi a chiave ed è stato istituito un registro in cui si annota chi, e per quanto tempo, li utilizza. Un provvedimento severo, adottato secondo le giustificazioni del preside, in seguito agli atti vandalici attuati proprio nei bagni della scuola. Studenti e genitori ovviamente non hanno gradito. Al di là del sentirsi cronometrati durante la necessità di andare in bagno, il provvedimento è suonato come una imposizione punitiva e per nulla educativa, costruttiva. «Qualche “genio” un paio di settimane fa ha rotto una porta di un bagno e ne ha allagato un altro, e stiamo pagando tutti», - hanno detto gli studenti. E proprio qui sta il punto. Una scuola che non sa insegnare il rispetto della cosa pubblica, che non riesce a capire il disagio e non trova soluzione migliore che chiudere a chiave una porta, che usa strumenti coercitivi senza fornire alternative, ha fallito il suo mandato. E il suo mandato è quello di educare, che è qualcosa di più che trasmettere informazioni o far sì che i ragazzi accettino delle norme imposte da pochi; educare sarebbe, come giustamente ha scritto il pedagogista Paul Goodman, «contribuire a creare un mondo in cui valga la pena di vivere».

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