sabato 23 gennaio 2016

Tina Modotti, la nuova rosa

Le Rose (1925), immortalate in tutta l’opulenza dei petali aperti, tentano lo spettatore ad affondarvi il naso per sentirne l’odore e a toccarle per godere della consistenza di velluto. Di fronte alla Madre incinta con bambino in braccio (1929) si può immaginare la fotografa che dopo aver scattato abbia poi aiutato la donna a tenere quel cucciolo paffutello per farla riposare. L’autrice di queste foto è Tina Modotti alla quale Udine, sua città natale, rende omaggio con la raccolta più vasta delle sue opere tratte dai negativi originali.
A Casa Cavazzini, fino al 28 febbraio, sono infatti esposte oltre cento fotografie, una serie di immagini e documenti inediti provenienti dal lascito della sorella Jolanda e la documentazione fotografica conservata all’INAH di Città del Messico per la prima volta esposta in Europa. Una grande retrospettiva- la prima dopo 36 anni a Udine - che offre la possibilità ai visitatori di conoscere attraverso diverse chiavi di lettura la vita e l’arte di un personaggio poliedrico e straordinario come fu lei.
Combattuta fra l’atto puro della creazione e il dovere dell’impegno civile, Tina Modotti ci ha lasciato scatti straordinari che raccontano di una donna oltre ogni convenzione e stereotipo: migrante, modella, attrice, rivoluzionaria, seduttrice, combattente, sostenitrice dei diritti dei più deboli. Dalla miseria del Friuli d’inizio Novecento alla Hollywood degli anni Venti, dal rinascimento messicano alla Berlino degli anni Trenta, dalla Russia dello stalinismo alla Spagna della guerra civile dove gli amici Robert Capa e David Seymour la trovano negli ospedali da campo ad assistere instancabile feriti e moribondi, Tina Modotti ha vissuto intensamente e con coraggio la propria vita, e la sua esistenza è stata quella di una persona libera e coerente. «Mi considero una fotografa, niente di più», scrive nel dicembre del 1929. «La fotografia, proprio perché può essere prodotta solo nel presente e perché si basa su ciò che esiste oggettivamente davanti alla macchina fotografica, rappresenta il medium più soddisfacente per registrare con obiettività la vita in tutti i suoi aspetti ed è da questo che deriva il suo valore di documento. Se a questo si aggiungono sensibilità e intelligenza e, soprattutto, un'idea chiara sul ruolo che dovrebbe avere nel campo dello sviluppo storico, credo che il risultato sia qualcosa che merita un posto nella produzione sociale, a cui tutti noi dovremmo contribuire».

La maggioranza della sua produzione artistica riguarda il Messico, il suo grande amore. Ci arrivò nel 1922 quando la rivoluzione si era già conclusa, ma dove ancora erano vivi lo spirito e gli ideali ben documentati dalle sue foto: la semplicità della vita dell’epoca, la condizione di povertà dei suoi abitanti, l’orgoglio del popolo sono evidenti nelle immagini di operai e contadini in marcia sotto il sole cocente del Messico, in quelle dei comitati dei ribelli e nella serie dedicata alla “falce e martello”. Alla forza del movimento rivoluzionario (uomini e donne ritratti nella loro quotidianità come le mani del burattinaio Louis Bunin e le indimenticabili donne di Tehuantepac) Tina aggiunse sperimentazioni fotografiche fatte di geometrie, visioni ravvicinate e un desiderio di contatto fisico con le cose, di una immediata empatia per ciò che guardava e immortalava.

La sua casa era il ritrovo di un mondo di artisti, bohemién squattrinati, ma anche e soprattutto di rifugiati e attivisti e luogo di incontri privilegiato: fu durante una delle tante feste che Tina organizzava, ad esempio, che Frida Khalo conobbe Diego Rivera. Tutti quelli che si sono imbattuti in qualche modo in lei la ricordano come fonte di attrazione magnetica che andava ben oltre la sua pure straordinaria bellezza ben documentata dalle foto di lei nuda sull’azotea che le fece, suscitando scandalo, il suo maestro Edward Weston: immagini che ancora oggi incantano per l’audacia delle inquadrature.

Espulsa dal Messico nel 1930 tornò nel 1939, ma dopo tre anni trovò la morte a soli 46 anni. Ufficialmente per un attacco di cuore in un taxi nella capitale dove si era ritirata in anonimato. Era la notte del 5 gennaio 1942. Sulla sua tomba i versi che Pablo Neruda scrisse per lei: «Sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l'ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente, sorella».

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