lunedì 7 dicembre 2015

Quei fiamminghi impossibili che illuminarono il barocco

Il signor Otto Fassbender, con i suoi originalissimi occhiali e il fotometro in mano, a poche ore dalla preview per la stampa ancora studiava l’illuminazione perfetta per la tavola di Peter Van Der Croos Estuario con navi olandesi e vento forte al largo di un molo, dando indicazione agli allestitori su come posizionare il faretto per metterla in risalto. Il tutto sotto gli occhi vigili e innamorati della moglie, la signora Renate, arrivata ad Aosta con la figlia e i nipoti proprio per la mostra: la prima in assoluto in Europa e nel mondo della loro collezione. I coniugi Fassebender sono infatti i proprietari di 98 delle 114 opere che compongono l’esposizione Golden Age che ha aperto il 5 dicembre scorso al pubblico presso il Forte di Bard.
Rubens, Brueghel, Joardens e molti altri artisti meno conosciuti ma altrettanto rappresentativi del secolo d’oro della pittura fiamminga e olandese del Seicento e Settecento sono stati messi insieme fin dagli anni Settanta dai Fassebender e la collezione Hohenbuchau (dal nome della loro dimora) è una delle più grandi e complete raccolte al mondo di opere d’arte barocca dell’Europa settentrionale.
La scelta di questo particolare periodo storico nasce dall’esigenza di Renate e Otto di circondarsi di dipinti che rispecchiassero la loro cultura e i loro interessi, oltre ovviamente che portassero gioia nella loro casa. «Cercavamo un tipo di arte che ci parlasse, che ci piacesse e che fosse abbordabile», spiega il signor Fassbender. «Ed era il Barocco, in particolare il Barocco dei Paesi Bassi», precisa, «a farci sentire a nostro agio e a casa nostra». Il primo passo verso la futura collezione Hohenbuchau non fu un successo. Otto Fassbender racconta che il primo acquisto fu un Constable, debitatamente firmato e datato. Ma risultò falso. Anche un Fragonard, anch’esso datato e firmato, si rivelò poi essere di Giuseppe Zais. «Presi dall’entusiasmo per l’arte fiamminga», continua il signor Fassbender, «ci lasciammo presto questi incidenti alle spalle, anche se a volte ricordiamo queste prime esperienze con un sorriso ironico. Per fortuna ci eravamo avventurati in queste prime acquisizioni con la massima cautela finanziaria». D’altronde il collezionismo, ci tengono a sottolineare i Fossbender, è qualcosa che s’impara. E quello che si vede esposto al Forte di Bard dimostra una ricerca continua che arricchisce con ogni acquisto la collezione. L’ultimo arrivato è il Bambino imbronciato di Van Dyck. Lo troviamo nella prima sala espositiva, quella dedicata ai due più importanti maestri fiamminghi e precursori del Barocco: Rubens e appunto Van Dyck. Il primo acquisto importante è invece il Ritratto di un musico con la sua Musa di Jacob Jordaens. «Il Musico viaggiò con noi da Vienna a Francoforte come terzo passeggero, con il proprio posto a sedere», racconta Otto Fassbender nel catalogo della mostra. Gli fu riservato un trattamento speciale con tanto di trasporto a bordo di una sedia a rotelle sulla pista sino all’aereo.
Poi c’è il Piccolo cacciatore timido di Aelbert Cuyp: quella fu una «scintilla emotiva». Le labbra socchiuse, la mano sinistra timidamente sollevata, lo sguardo timido e interrogativo, quell’esitazione quando afferra la bestiolina morta. L’artista non lascia alcuno spazio al dubbio: l’uccello non è stato ucciso dal ragazzino. «Con grande maestria e sensibilità psicologica Cuyp ha saputo catturare pittoricamente l’espressione del viso e il linguaggio del corpo del giovane», scrive il proprietario della collezione che si trova in deposito permanente nelle gallerie della Collezione del Principe del Liechtenstein a Vienna. E proprio da lì arrivano le 16 opere che integrano in «Golden Age» il corpus Hohenbuchau: capolavori assoluti come le opere di Cranach il Vecchio, Jan de Cock, Gerard Ter Borch e degli italiani Domenico Tintoretto, Perino del Vaga, Gabriele Salci e Alessandro Bonvicino da Brescia.
Il “Secolo d’Oro” è dunque ampiamente rappresentato in mostra con scene storiche, ritratti, pittura di genere, paesaggi, marine, e soprattutto le nature morte, nelle numerose varianti iconografiche.
Tra i capolavori della collezione Hohenbuchau troviamo anche il genere dei “banchetti” (Frans Snyders, Joris van Son, e Abraham van Beyeren), le nature morte con selvaggina, raramente presenti nelle collezioni moderne in tale quantità o con esemplari così raffinati, i fijnschilder della Scuola di Leida, paesaggi fiamminghi e olandesi del periodo cosiddetto classico, e due opere del loro pioniere Gerard Dou, Cantina di vino e Donna assopita, nonché paesaggi mirabili con cascate di Allart van Everdingen e Jacob van Ruisdael.
Grande risalto è inoltre dato alle rappresentazioni storiche, soprattutto quelle del manierismo (Abraham Bloemaert, Riposo dalla fuga in Egitto e Cornelis van Haarlem, Maria Maddalena), dei Caravaggisti di Utrecht (Gerard van Honthorst, Frine e Senocrate e Hendrick ter Brugghen, Diogene) e del barocco fiammingo. Non manca un piccolo campionario di altre scuole, tra cui alcune nature morte italiane (Giacomo Cerutti detto il Pitocchetto, Natura morta aragosta, e Bartolomeo del Bimbo, Natura morta con fiori), che offrono ulteriori aspetti sull’arte dell’epoca ed esempi eccezionali di collaborazione artistica, tra cui lavori in coppia di Denys van Alsloot e Hendrick de Clerck (Le Tentazioni di Cristo), Jan Brueghel il Giovane e Hendrick van Balen (Paesaggio con la Vergine e il bambino), Joos de Momper e Jan Brueghel il vecchio (L’eremita davanti al suo grotto).
La mostra, che apre la stagione espositiva invernale del Forte di Bard, si potrà visitare fino al 2 giugno dell’anno prossimo.

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