martedì 8 dicembre 2015

Così abbiamo armato lo Stato islamico

«Come abbiamo armato lo Stato islamico». In un nuovo rapporto Amnesty International denuncia come «decenni di forniture mal regolamentate di armi all’Iraq e gli scarsi controlli sul terreno» abbiano messo a disposizione dell’Is un «ampio e mortale arsenale», usato per compiere crimini di guerra, e violazioni del diritto internazionale umanitario e crimini contro l’umanità su scala massiccia nello stesso Iraq e in Siria. Basandosi sull’analisi da parte di esperti di migliaia di video e immagini di cui è stata verificata l’autenticità, il rapporto di Amnesty International - intitolato «Fare scorta: come abbiamo armato lo Stato islamico» - spiega come il gruppo armato stia usando oltre 100 diversi tipi di armi e munizioni, in larga parte prelevate dai depositi militari iracheni, concepite e prodotte in almeno 25 Paesi, compresi Russia, Cina, Usa e alcuni Stati dell’Unione Europea.
Altre armi, secondo il rapporto, sono state prese sui campi di battaglia o attraverso commerci illeciti e defezioni di uomini armati in Iraq e in Siria. Dopo aver conquistato l’irachena Mosul, nel giugno 2014, l’Is è entrato in possesso di «una incredibile quantità» di armi e munizioni di fabbricazione internazionale, tra cui armi e veicoli militari made in Usa. «Gran parte delle armi finite nelle mani dello ’Stato islamico' erano state originariamente fornite all’Iraq dagli Usa, dalla Russia e da altri Paesi dell’ex blocco sovietico tra gli anni Settanta e Novanta - si legge in un comunicato - La maggior parte delle armi prese in Siria sono state originariamente fornite dalla Russia, da altri Paesi dell’ex blocco sovietico e dall’Iran».
 Il rapporto di Amnesty International evidenzia come anche l’Italia possa «aver giocato un ruolo non indifferente nell’armare l’Is, rifornendo durante la guerra del 1980-88 - secondo fonti ufficiali Usa, reperibili al link: www.state.gov/documents/organization/185653.pdf - sia l’Iraq che, in maniera meno trasparente, l’Iran».
«La quantità e la varietà delle armi usate dallo ’Stato islamico' è l’esempio da manuale di come commerci irresponsabili di armi alimentino atrocità di massa - ha dichiarato Patrick Wilcken, ricercatore su controlli sulle armi, commerci di materiali di sicurezza e violazioni dei diritti umani di Amnesty International - La scarsa regolamentazione e la mancata supervisione sull’immenso afflusso di armi in Iraq a partire da decenni fa sono state la manna dal cielo per lo ’Stato islamicò e altri gruppi armati, che si sono trovati a disposizione una potenza di fuoco senza precedenti».
Secondo il rapporto, tra le armi avanzate finite nelle mani dell’Is vi sono i sistemi di difesa aerea portabili a spalla (noti con l’acronimo Manpads), missili anti-carro guidati, veicoli blindati da combattimento, fucili d’assalto come gli Ak russi e gli M16 e i Bushmaster statunitensi.
Lo studio evidenzia come la maggior parte delle armi convenzionali usate oggi dall’Is risalga al periodo che va dagli anni Settanta agli anni Novanta e comprenda pistole, rivoltelle e altre armi leggere, mitragliatrici, armi anti-carro, mortai e altra artiglieria; sono molto utilizzati i fucili simili ai kalashnikov dell’era sovietica, prodotti principalmente in Russia e Cina.
Non solo. L’Is e altri gruppi armati, sottolinea il rapporto, hanno anche iniziato a produrre armi per conto proprio: razzi, mortai, granate, ordigni esplosivi improvvisati, trappole esplosive, autobombe e persino bombe a grappolo, queste ultime proibite a livello internazionale.
Il rapporto di Amnesty International ripercorre la lunga storia della proliferazione delle armi in Iraq e la complessa catena di rifornimento che molto probabilmente ha portato alcune delle più recenti forniture nelle mani dell’Is. Per impedire la proliferazione delle armi, Amnesty International chiede a tutti gli Stati di  stabilire un embargo totale nei confronti del governo siriano e dei gruppi armati d’opposizione implicati in crimini di guerra, crimini contro l’umanità e altre gravi violazioni del diritto internazionale. L’organizzazione chiede inoltre di autorizzare i trasferimenti di armi solo dopo aver compiuto un rigoroso accertamento dei rischi e chiede a tutti gli Stati che non l’hanno ancora fatto di «depositare immediatamente gli strumenti di accessione o di ratifica al Trattato internazionale sul commercio delle armi».

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