giovedì 3 aprile 2014

#strettamentepersonale: i miei compagni di viaggio sul metrò

Premessa: quando vivevo a Roma non ho mai preso la metropolitana. Che piovesse, grandinasse o nevicasse, di giorno o di notte, mi sono sempre spostata sulla mia Vespa 50. Adesso che sono a Milano e il motorino sta a Garbatella mi sposto, a parte qualche rara eccezione in bici, sempre e solo con i mezzi pubblici.
Stamattina mi è successa una cosa strana: mi sono sorpresa a guardarmi attorno alla ricerca dei soliti compagni di viaggio, quelli che come me, alle 7, prendono il metrò per andare al lavoro, a scuola, o magari per andare a casa dai figli dove fanno da baby sitter ai nipoti.  Mi sono accorta che ritrovarli seduti nei vagoni della linea gialla o sul tram numero 9 mi rassicura come può essere rassicurante un volto conosciuto in una città non mia.
C'è una ragazza musulmana che con gli occhi chiusi, tenendo in mano un libricino, prega. C'è una studentessa che ogni giorno ripassa la lezione. C'è una signora che per tutto il viaggio sfoglia il free press preso alla stazione. C'è una bella mamma, probabilmente eritrea, in tuta e scarpe da ginnastica che accompagna il figlio a scuola e poi torna indietro a prepararsi per andare a fare la commessa in uno dei negozi più trendy di corso Como. C'è una professoressa, almeno credo, che siede sempre allo stesso posto sul tram. Ben vestita, sempre con i capelli sistemati, che dispensa sorrisi a chiunque salga sul mezzo. C'è un ragazzo, uno studente, con le cuffie alle orecchie che ogni mattina deve correre per prendere il 33 al volo. C'è una donna dell'Est e sua figlia che vanno insieme a lavorare, ma sulla metropolitana siedono distanti l'una dall'altra. L'una con lo sguardo stanco, l'altra che gioca con il suo smartphone. C'è un gruppo di signore che si danno appuntamento sulla banchina del metrò per andare in ufficio tutte insieme.  C'è un uomo, un africano di una sessantina di anni, vestito di tutto punto che parla perfettamente l'italiano e sembra conoscere tutti.
Poi c'è l'ecuadoregno che mi porta la mazzetta dei giornali. Un uomo in gamba, che è arrivato a Milano dodici anni fa con una valigia di cartone senza conoscere una parola della nostra lingua e ora ha una bella famiglia, una bella casa e si sente italiano.
Ogni mattina io cerco ognuno di loro. E se non ci sono ci resto male. Mi chiedo se abbiano avuto un contrattempo, se non si siano svegliati in tempo, se stiano male. Ma poi, con il mio innato ottimismo, mi rispondo che non ci sono perché sono in vacanza. Ecco anche io domani non ci sarò. Quattro giorni tutti per me e non prenderò certo il metrò alle 7 di mattina. Chissà se noteranno la mia assenza... In ogni caso buona giornata, compagni di viaggio.

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